Il decreto sviluppo (D.L. n.83/12), con alcune modifiche introdotte in sede di conversione, apporta alcune semplificazioni alle disposizioni che regolano la rilevanza fiscale delle perdite su crediti ammettendo, di fatto, la deduzione, senza necessità di produrre rigorose prove formali, delle perdite su crediti di modesta entità.
La norma che regola la possibilità di dare rilevanza anche fiscale alle perdite su crediti imputate in bilancio è contenuta nell’art.101, comma 5 del Tuir, che si articola in due diverse previsioni:

  • una di carattere generale, che consente di dedurre le perdite su crediti quando la prova dell’insolvenza del debitore è supportata da elementi che devono essere certi e precisi;
  • una seconda di carattere speciale, che individua la sussistenza degli elementi certi e precisi in modo automatico quando il debitore è assoggettato a una procedura concorsuale o ad altri istituti di composizione della crisi disciplinati dalla legge fallimentare e, come detto, con le modifiche apportate in sede di conversione, anche quando i crediti sono di modesta entità, come si dirà meglio tra breve.

Le perdite su crediti e gli elementi certi e precisi
La dimostrazione della sussistenza degli elementi certi e precisi per dedurre una perdita su crediti è piuttosto complessa, anche per il fatto che l’Amministrazione Finanziaria ha da sempre assunto una posizione a volte eccessivamente rigida. Se si può ritenere, ad esempio, che un elemento certo e preciso sia dato dalla lettera del legale che sconsiglia il procedimento di recupero, o da un pignoramento negativo, non è detto che un imprenditore sia disposto ad arrivare a questo punto della procedura di recupero, con le spese connesse, per dimostrare la certezza della perdita.
La giurisprudenza, diversamente, ha adottato una linea meno rigorosa, ammettendo che l’insolvenza, o comunque la certezza della perdita, si possa desumere, ad esempio, da una situazione di bilancio pesantemente deficitaria o, ancora, dal fatto che, a un determinato debitore, gli istituti di credito abbiano revocato i fidi.

I debitori assoggettati a procedure concorsuali
Se un debitore è assoggettato a una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) la sussistenza degli elementi certi e precisi la si rinviene proprio nell’adozione di queste procedure che, di per sé, danno certezza alla perdita. Quindi, se un’impresa ha un credito verso un soggetto che si trova in una di queste situazioni, è legittimata a stralciarlo, in tutto o in parte, in pratica valutando con attenzione quali sono le possibilità di recupero.
Il Decreto Sviluppo ha ampliato la casistica in cui si verifica l’automatismo, introducendo questa regola anche nel caso in cui il debitore sia ammesso a un accordo di ristrutturazione del debito ex art.182-bis L. F.

La norma precisa che il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data:

  •   della sentenza dichiarativa del fallimento;
  •   del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  •   del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  •   del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
  •   del decreto del Tribunale che omologa l’accordo di ristrutturazione.

I crediti di modesto importo
In sede di conversione del Decreto Sviluppo, viene introdotta una semplificazione, che riguarda i crediti di modesto importo, non essendo dunque necessario il ricorrere della condizione che il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali.
Il principio era stato introdotto diverso tempo fa dalla R.M. n.9/124 del 6 agosto 1976, che si era occupata della deduzione delle perdite su crediti di ridotta entità affermando che, in tal caso, non è necessario produrre rigorose prove formali in ordine alla certezza della perdita, poiché la modestia degli importi, di norma, sconsiglia le aziende a intraprendere azioni di recupero che potrebbero avere esiti antieconomici. La risoluzione, tuttavia, non indicava alcun criterio per stabilire quando un credito potesse definirsi di modesto importo, facendo riferimento sia a un valore assoluto, che all’incidenza del credito sull’entità del portafoglio.

La regola introdotta dall’emendamento afferma che l’elemento certo e preciso si ha per certo al ricorrere di due condizioni:

  • sono trascorsi sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito;
  • il credito è di modesta entità.

L’aspetto rilevante della disposizione è che viene definito con sufficiente chiarezza quando un credito si può considerare di modesta entità, individuandosi questa forbice:

  • importo non superiore ad 5.000 euro, per le imprese di più rilevante dimensione;
  • importo non superiore ad 2.500 euro per le altre imprese.

Le imprese di grandi dimensioni sono quelle che hanno un fatturato superiore ai 150 milioni di euro dal 2011.

Dunque queste imprese, per stabilire se un credito è di modesta entità, fanno riferimento alla soglia di 5.000 euro; quelle al di sotto di tali valori, si devono riferire alla soglia di 2.500 euro. La scadenza di sei mesi dal pagamento deve essere riferita alla data di chiusura del bilancio, secondo questo esempio, riferito a un’impresa di non grandi dimensioni.

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